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Chia (Soriano nel Cimino)
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Chia 01038 (VT) Chia (Soriano nel Cimino) - VT, Borghi e paesini, Vicino Roma
Descrizione:

Il vecchio borgo di Chia Vecchia è stato abbandonato negli anni '50 dopo quasi mille anni dalla sua costruzione, al suo fianco sorge il nuovo abitato che oggi accoglie solo poche centinaia di persone.

Fu Pier Paolo Pasolini negli anni '60 a riscoprire l'antico borgo fantasma di Chia durante le riprese del suo film "Il Vangelo secondo Matteo" e a innamorarsene al punto di restaurarne la Torre e a ritirarsi negli ultimi anni della sua vita "nel paesaggio più bello del mondo, dove l'Ariosto sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta innocenza di querce, colli, acque e botri" dando vita al suo romanzo "Petrolio", romanzo rimasto incompiuto, e spedendo al Corriere della Sera diverse Lettere luterane, tra cui una delle più conosciute, potenti e profetiche: "Io so".

"Il luogo del battesimo di Cristo" perchè qui, alle cascate di Chia fu ambientata la scena del battesimo di Gesù di Nazareth nel film di Pasolini.

Da allora sono sorte al suo fianco e a valle le nuove abitazioni che costituiscono l'attuale abitato di Chia, oggi frazione di Soriano nel Cimino, che convive con i ruderi pericolanti della città fantasma che, nel loro piccolo, ricordano la città fantasma di Matera.

L’altopiano di Chia e le zone circostanti divennero un tale “luogo dell’anima” per Pasolini, che egli dedicò proprio al minuscolo borgo una poesia pubblicata nella raccolta “La nuova gioventù. Poesie Friulane”, scritta nei primi anni Settanta.

Qui il regista, a cui oggi è dedicato un busto di bronzo nella piazza centrale, parlava di Chia e delle sue querce rosa, probabilmente alludendo alle meravigliose sfumature del fogliame autunnale nei boschi limitrofi.

Fino al 1942 Chia era frazione del vicino comune di Bomarzo; in tale data passò a Soriano nel Cimino.

Il Santo Patrono di Chia è San Giovenale di Narni, la cui festa ricade il 3 maggio, fino agli anni '60 si festeggiava il 3 e 4 maggio, oggi i festeggiamenti iniziano sempre il 3 maggio ma la festa vera e propria avviene il primo fine settimana del mese.

Il dolce tipico di questa festa è il Biscotto di San Giovenale.

Se volete girare un po' l'area potreste visitare Bassano in Teverina oppure Bomarzo, San Martino al Cimino sul lago di Vico o il Monumento Naturale Oasi WWF Pian Sant'Angelo, il meraviglioso Castello Ruspoli a Vignanello o l'area archeologica con i resti dell'antica città di Ferento.

Torre di Chia - Pier Paolo Pasolini - Soriano nel Cimino (VT)
Torre di Chia - Pier Paolo Pasolini - Soriano nel Cimino (VT)

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Borgo di Chia Vecchia
Borgo di Chia Vecchia

Visita Chia (fraz. di Soriano nel Cimino - VT)

La visita dell’antico borgo di Chia (oggi chiamato Chia Vecchia) inizia nella parte rinascimentale del paese e più precisamente da Piazza Garibaldi.

Lasciata sulla sinistra la Chiesa Madonna delle Grazie, iniziata nel 1617 e completata nel 1623, si percorre la Via Ripetta per immergersi negli angusti vicoli che caratterizzano il borgo di Chia.

Così, proseguendo, si entra nella parte più antica di Chia dove si apre una piazzetta irregolare, Piazza Giordano Bruno.

Sulla faccia inferiore dell'architrave di un portale, curiosamente arabescato, compare l'iscrizione: "SEX....OP(US) HOC PASTOR FECIT"

Tra le suddette case risultano pure incastonate le rovine della più antica chiesa parrocchiale del borgo modificata nel rinascimento intitolata a San Giovenale, andata completamente distrutta.

Sull'architrave del suo portale vi è la seguente iscrizione, le cui ultime cinque lettere appaiono incerte: "H. OPUS F. FIERI DIVI ACESA"

Da un sottopassaggio arcuato, ricavato da una casa torre, trae inizio una stradina, che mediante una rampa a gradoni, scende ad un livello più basso, ove è fiancheggiata, almeno in parte, verso l'esterno, da due schiere di case (tuttora abitate) separate tra loro da stretti vicoli.

Da qui, un secondo sottopassaggio, pure arcuato, immette all'esterno del più antico nucleo abitativo, sulla odierna piazza del paese. Su quest'ultima figurano costruzioni e modifiche di edifici precedenti eseguite nel tardo rinascimento e nelle epoche successive.

All’interno dell’antico borgo rupestre di Chia ancora oggi è usanza, fuori delle ultime case rimaste abitate, mettere delle mattonelle di argilla con incisi versi poetici dei più grandi autori italiani, tra cui Ungaretti con la sua celebre poesia “Soldati”.

Nelle vicinanze di Chia una tappa la meritano le Cascate del Fosso Castello, vera oasi di relax per chi ama immergersi nei percorsi naturali.

Cascate del Fosso Martello -vicino la Torre di Chia (di-Pasolini)
Cascate del Fosso Martello -vicino la Torre di Chia (di-Pasolini)

Chia | Le origini

Il borgo abbandonato di Chia, arroccato su uno sperone roccioso nel Viterbese, risale all'incirca al 1100 d.C., ma la zona era abitata ancor prima del tempo degli etruschi, come ben testimoniano tutti i ritrovamenti archeologici (case ipogee, tombe a grotta, pozzi, ecc.) nelle immediate vicinanze, in particolare nell'area di Santa Cecilia, immersa nei boschi del fondovalle.

Boschi che celano antiche scritte sulle pietre, cimiteri, tombe antropomorfe, tombe a sarcofago, cippi funerari, altari, un'antica chiesa, la finestraccia: una grande tomba - forse etrusca - poi utilizzata come abitazione almeno fino al Medioevo e la famosa Piramide Etrusca (il sasso del predicatore) immersa nei boschi vicino Bomarzo, 28 scalini scavati nel tufo a formare un'altare piramidale con pozzetto sacrificale.

Non si è ancora certi che abbia origine etrusche o addirittura precedenti, della misteriosa civiltà dei rinaldoniani, durante l'età del bronzo.

Durante l'epoca romana (dal III a.C.) Chia non ebbe un particolare sviluppo, e si spopolò già nel periodo delle invasioni barbariche, mentre fu nel Medioevo che si definì l'attuale impronta urbanistica e lo sviluppo di questo borgo meraviglioso finalmente protetto da mura e fortificazioni.

Piramide Etrusca - Chia - Bomarzo (VT)
Piramide Etrusca - Chia - Bomarzo (VT)

Chia | La Storia

Anche se le antiche cronache indichino Chia con l'appellativo di castello, dovrà trattarsi, fin dai secoli XIII e XIV più che di un castello vero e proprio di un complesso di minuscoli palazzi e di case.

Talune con basse torri e bastioni disposti secondo un preciso schema difensivo.

Si susseguirono molte famiglie nobili alla proprietà della città, fino al pressoché completo abbandono del borgo nei primi anni '50 a causa dello spopolamento avvenuto durante le guerre mondiali.

È arduo individuare l'origine della denominazione del borgo di Chia, in alcune carte antiche indicato come Cheggia o Icea.

Una nota leggenda vorrebbe che Chia prendesse nome da una nobile longobarda stabilitasi qui con il suo seguito, forse al tempo delle scorrerie dei Longobardi stessi nel Lazio.

Tuttavia, il vocabolo sembra di origine etrusca.

Riferimenti più precise compaiono dal 1260 in poi.

Nel borgo fortificato di Chia, come riferisce Edoardo Martinori, nel 1260, un feudatario di nome Cappello, signore anche del vicino castello di Colle Casale, venne processato per eresia dai viterbesi, e il papa Alessandro IV gli confiscò tutti i beni che andarono a beneficio della camera apostolica, la quale nel 1298 investì del feudo il vescovo di Orte.

Nel 1301, Chia ritornò alla camera apostolica, la quale nello stesso anno, per volontà di Bonifacio VIII, ne cedette l'investitura a Guastapane dei Porcari per compensarlo della perdita della rocca di Soriano nel Cimino.

Nel 1321 Napoleone Orsini, figlio di Orso, acquistò Chia dai Guastapane, con il permesso della Santa Sede.

Nel 1369, Urbano IV dette il borgo in feudo a Simeotto Orsini; ma Martino V lo tolse a quella famiglia per passarlo alla sua.

Successivamente Chia passò nel 1427 ad Antonio Colonna, nel 1431 nuovamente agli Orsini; e in epoche più recenti appartenne al Lante Della Rovere che lo vendettero ai Borghese nel 1836.

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Pier Paolo Pasolini - Torre di Chia
Pier Paolo Pasolini - alle sue spalle la Torre di Chia, sua ultima dimora

Io so di Pier Paolo Pasolini (scritta nella Torre di Chia)

Io so.

Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).

Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.

Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.

Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.

Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).

Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".

Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista).

Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.

Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.

Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.

Io so.

Ma non ho le prove.

Non ho nemmeno indizi.

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.

Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti.

Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.

Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.

Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.

Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.

A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.

Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.

Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.

Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.

Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.

All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.

Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.

Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere.

In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.

Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico.

In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola.

Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione.

In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità.

È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.

Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.

La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.

Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.

Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.

Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro.

E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.

Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni?

È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica.

E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.

L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.

Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica.

Non è diplomatico, non è opportuno.

Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.

Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.

E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti.

E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.

Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.

Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti.

Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori).

Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.

Chia città fantasma (Soriano-nel-Cimino)
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