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Musei Vaticani | L'unica guida completa e gratuita con tutti i dettagli e i segreti!
I Musei Vaticani sono il gigantesco polo museale della Città del Vaticano, in Roma.
Puoi metterci poche ore o giorni interi per visitare tutti i Musei Vaticani con attenzione...
I Musei Vaticani sono tra i pochi musei al mondo dove non può bastare una sola visita, perchè ogni qualvolta torni, trovi sempre qualcosa che sorprende.
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Musei Vaticani | Storia
Fondati da papa Giulio II nel XVI secolo, i Musei Vaticani occupano gran parte del vasto cortile del Belvedere e sono una delle raccolte d'arte più grandi del mondo, dal momento che espongono l'enorme collezione di opere d'arte accumulata nei secoli dai papi: la Cappella Sistina e gli appartamenti papali affrescati da Michelangelo e Raffaello sono parte delle opere che i visitatori possono ammirare nel loro percorso.
Benché i Musei Vaticani si trovino interamente in territorio vaticano, il loro ingresso si trova in territorio italiano, in viale Vaticano 6 a Roma.
I Musei Vaticani hanno un'affluenza media annua di circa sei milioni e mezzo di visitatori da tutto il mondo.
I Musei Vaticani furono fondati da papa Giulio II nel 1506 e aperti al pubblico nel 1771 per volere di papa Clemente XIV.
La scultura che gettò le basi per la costruzione del museo fu il cosiddetto Gruppo del Laocoonte: essa raffigura Laocoonte, il sacerdote che secondo la mitologia greca tentò di convincere i Troiani a non accettare il cavallo di legno che i Greci sembravano aver donato loro.
La statua fu trovata il 14 gennaio 1506 in un vigneto nei pressi della basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
Papa Giulio II mandò Giuliano da Sangallo e Michelangelo Buonarroti, che lavoravano al Vaticano, ad esaminare la scoperta, e su loro consiglio acquistò subito la scultura dal proprietario della vigna.
Un mese dopo l'opera, che rappresenta Laocoonte e i suoi figli stretti tra le spire di un serpente marino, fu esposta al pubblico in Vaticano.
Un clamoroso caso si ebbe nel maggio del 1938, quando Adolf Hitler, capo della Germania nazista, arrivò a Roma, ospite del re Vittorio Emanuele III e di Benito Mussolini.
Papa Pio XI non lo volle ricevere, e per evitare ciò si trasferì eccezionalmente, per qualche giorno, nella villa di Castel Gandolfo.
Inoltre, caso senza precedenti, stabilì che il museo e la basilica fossero chiusi a ogni visitatore durante il breve periodo della visita del Führer.
In tal modo il capo tedesco non sarebbe potuto entrare in territorio vaticano nemmeno accedendo ai Musei Vaticani.
All'inizio dell'anno santo del 2000 è stata approntato un nuovo ingresso ai Musei Vaticani, ricavato nelle mura vaticane, subito a sinistra - muro disposto a 90 gradi - del vecchio ingresso, risalente al 1932.
Un passaggio è stato destinato all'ingresso, e l'altro all'uscita dei visitatori.
Un apposito articolo del Trattato del 1929 stabilisce che la Santa Sede non può alienare i beni contenuti nei Musei Vaticani, può regolare le date e gli orari d'ingresso ma è tenuta a consentire la visita ai turisti e agli studiosi; si tratta quindi di una sorta di servitù internazionale.
I musei Vaticani sono chiusi in alcune date festive (1º gennaio, 6 gennaio, 11 febbraio, 19 marzo, Pasqua e Lunedì dell'Angelo, 1º maggio, 29 giugno, 15 agosto, 1º novembre, 8 dicembre, 25 dicembre, 26 dicembre).
I Musei Vaticani sono chiusi la domenica, a eccezione dell'ultima domenica del mese (purché non coincida con le precedenti festività).
Nell'ottobre del 2006 i musei Vaticani hanno celebrato il proprio cinquecentesimo anniversario aprendo permanentemente al pubblico gli scavi archeologici di una necropoli che si trovano sul Colle Vaticano.
Musei Vaticani
I Musei Vaticani, giustamente chiamati al plurale, sono in realtà un insieme di musei e collezioni.
Attualmente comprendono: i Musei Vaticani e gli ambienti visitabili dei palazzi Vaticani.
Musei Vaticani | Pinacoteca vaticana:
- Sala I - Secoli XII-XV
- Sala II - Secoli XIII-XV
- Sala III - Secolo XV
- Sala IV - Secoli XV-XVI
- Sala V - Secolo XV
- Sala VI - Secolo XV
- Sala VII - Secoli XV-XVI
- Sala VIII - Secolo XVI
- Sala IX - Secoli XV-XVI
- Sala X - Secolo XVI
- Sala XI - Secolo XVI
- Sala XII - Secolo XVII
- Sala XIII - Secolo XVII
- Sala XIV - Secolo XVII
- Sala XV - Secolo XVIII
- Sala XVI - Secolo XIX
- Sala XVII - Secolo XVII
- Sala XVIII - Secoli XV-XIX
La collezione della Pinacoteca dei Musei Vaticani fu dapprima ospitata nell'Appartamento Borgia, finché papa Pio XI ordinò che fosse costruito un palazzo ad essa dedicato.
Esso sorse in una parte dell'ottocentesco Giardino Quadrato, isolato e circondato completamente da viali, in un luogo ritenuto adatto ad assicurare le migliori condizioni di luce in rapporto sia alla corretta conservazione delle opere sia alla loro ottimale valorizzazione estetica.
Veniva così risolta l'annosa questione dell'esposizione delle pitture, spostate di continuo nell'ambito dei Palazzi Apostolici in mancanza di una sede adeguata alla sua importanza.
Una prima raccolta di soli 118 pregevoli dipinti fu creata da papa Pio VI intorno al 1790: essa ebbe breve durata dal momento che, a seguito del Trattato di Tolentino (1797), alcuni dei maggiori capolavori furono trasferiti a Parigi.
L'idea di una Pinacoteca, intesa in senso moderno come esposizione aperta al pubblico, nacque solo nel 1817 dopo la caduta di Napoleone e la conseguente restituzione allo Stato della Chiesa di gran parte delle opere di sua appartenenza, secondo le direttive del Congresso di Vienna.
La collezione si è continuata ad accrescere nel corso degli anni attraverso donazioni e acquisizioni fino a raggiungere l'attuale nucleo di circa 460 dipinti, disposti nelle diciotto sale in base a criteri di cronologia e scuola, dai cosiddetti Primitivi (XII-XIII secolo) al XIX secolo.
La raccolta annovera alcuni capolavori dei maggiori artisti della storia della pittura italiana, da Giotto al Beato Angelico, da Melozzo da Forlì al Perugino e a Raffaello, da Leonardo a Tiziano, a Veronese, a Caravaggio e a Crespi.
Il museo contiene opere di pittori come Giotto, Leonardo, Raffaello e Caravaggio.
Musei Vaticani | Collezione d'arte contemporanea:
- Sala 1. La Collezione d’Arte Contemporanea
- Sala 2. Van Gogh, Gauguin, Medardo Rosso
- Sala 3. Milano e l’Italia settentrionale
- Sala 4. Roma e la Scuola Romana
- Sala 5. Scultura italiana tra committenza e ispirazione
- Sala 6. Scultura italiana anni ‘20 – ‘50
- Sala 7. Marino Marini
- Sala 8. Guttuso, Gentilini
- Sala 9. La Cappella della Pace
- Sala 10. Angelo Biancini
- Sala 11. Lawrence Carroll
- Sala 12. Sala Studio Azzurro
- Sala 13. Vetrina Matisse
- Sala 14. Sala Matisse
- Sale 15 e 16. Il primo Novecento in Germania
- Sala 17. La grafica del nord-Europa
- Sala 18. Arte sacra in Francia anni ‘20 – ‘50
- Sala 19. Marc Chagall
- Sala 20. Giorgio Morandi
- Sale 21 e 22. La pittura in Italia tra le due guerre
- Sala 23. Il secondo dopoguerra in Italia
- Sala 24. Il secondo dopoguerra in Italia
- Sala 25. Salvador Dalì e la Spagna
- Sala 26. Sudamerica
- Sala 27. La pittura figurativa negli Stati Uniti
- Sale 28 e 29. Il secondo Novecento negli Stati Uniti
- Sala 30. Gran Bretagna
- Sala 31. Sacro contemporaneo
- Sala 32. L’illusione del bronzo
- Sala 33. Astrazione anni ‘40 - ‘70
- Sala 34. Astrazione e sperimentazione tecnica
- Sala 35. Acquisizioni recenti
- Sala 36. Tano Festa e Michelangelo
All’interno del percorso dei Musei Vaticani un’ampia sezione è dedicata alla Collezione d’Arte moderna Contemporanea che raccoglie opere di artisti come Giacomo Manzù, Giuseppe Capogrossi, Lucio Fontana, Alberto Burri, Francis Bacon, Carlo Carrà, Marc Chagall, Salvador Dalí, Giorgio de Chirico, Venanzo Crocetti, Felice Mina, Paul Gauguin, Wassily Kandinsky, Henri Matisse e Vincent van Gogh.
Nata dal desiderio di Paolo VI di ripristinare il dialogo tra Chiesa e cultura contemporanea, questa giovane collezione copre un arco cronologico che dalla fine del XIX secolo giunge al Novecento inoltrato e permette di avvicinarsi a inattesi capolavori del variegato panorama artistico del Novecento.
Inaugurata il 23 giugno del 1973 per volere di papa Montini, raccoglie opere di pittura, scultura e grafica donate nel corso degli anni da artisti, collezionisti, enti privati e pubblici.
La maggior parte delle donazioni è stata frutto dei contatti attivati da Paolo VI con l’invito al mondo dell’arte, da lui incontrato il 7 maggio del 1964 nella Cappella Sistina.
In quella sede il Pontefice aveva sottolineato l’effettiva distanza tra Chiesa e arte contemporanea, rispetto allo stretto e fecondo legame del passato, auspicando un riavvicinamento.
L’esito di quell’augurio è stata la costituzione della Collezione d’Arte Religiosa Moderna.
L’operazione, portata avanti dal Segretario personale di Paolo VI, Mons. Pasquale Macchi, è durata circa dieci anni ed è andata ad arricchire il piccolo nucleo di opere del Novecento, entrate nella Pinacoteca Vaticana già alla fine degli anni Cinquanta, per volere di Pio XII.
Oggi la Collezione conta circa 8000 opere.
La selezione esposta al pubblico nei Musei Vaticani lungo un itinerario che si snoda dall’Appartamento Borgia fino alla Cappella Sistina, offre ai visitatori una ricca panoramica dell’arte italiana e internazionale del XX secolo.
A quest’ultimo è dedicata un’intera sala, inaugurata nel 2011, che ospita il preziosissimo nucleo di opere, relative alla genesi della Cappella di Vence, entrate nelle collezioni vaticane nel 1980, grazie alla straordinaria donazione del figlio dell’artista Pierre Matisse.
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Musei Vaticani | Museo Pio Clementino:
- Vestibolo Quadrato e Gabinetto dell'Apoxyomenos
- Cortile Ottagono
- Sala degli Animali
- Galleria delle Statue e Sala dei Busti
- Gabinetto delle Maschere
- Sala delle Muse
- Sala Rotonda
- Sala a Croce Greca
- Sala della Biga
- Galleria dei Candelabri
Papa Clemente XIV fondò il museo vaticano Pio-Clementino ai Musei Vaticani nel 1771, e originariamente fu adibito alla raccolta di opere antiche e rinascimentali.
Il museo e la sua collezione furono ampliati dal successore papa Pio VI.
Il nucleo originario delle collezioni pontificie di scultura classica risale al "Cortile delle Statue" (oggi Cortile Ottagono) di Papa Giulio II (1503-1513).
Nella seconda metà del XVIII secolo, le collezioni pontificie vennero incrementate sia attraverso scavi nel territorio romano e laziale, sia attraverso acquisizioni da collezionisti o da antiquari.
Per influsso del pensiero illuministico esse si trasformarono in un museo pubblico in senso moderno con il compito di tutelare le opere d'arte antica e di promuoverne lo studio e la conoscenza.
Denominato Pio Clementino dal nome dei suoi fondatori, Clemente XIV Ganganelli (1769-1774) e Pio VI Braschi (1775-1799), il museo era costituito da sale di esposizione, ottenute adattando edifici preesistenti e costruendone di nuovi, sia all'interno, sia nelle adiacenze del rinascimentale Palazzetto del Belvedere di Innocenzo VIII.
Qui trovarono posto sculture antiche, spesso ampiamente integrate dai restauratori dell'epoca.
Le architetture neoclassiche furono realizzate sotto la direzione di Alessandro Dori, Michelangelo Simonetti, Giuseppe Camporese, e impreziosite dall'opera di un folto gruppo di pittori e decoratori.
Con il Trattato di Tolentino (1797) lo Stato della Chiesa fu costretto a cedere alla Francia di Napoleone i principali capolavori del Museo, che vennero infatti trasferiti a Parigi.
Più tardi, a seguito del Congresso di Vienna (1815) e grazie all'impegno diplomatico di Antonio Canova, la maggior parte delle opere venne recuperata.
Oggi il museo ospita antiche sculture greche e romane.
Musei Vaticani | Museo Etnologico Anima Mundi
- Collezione
- Esposizione permanente
- Mostre temporanee
- Focus
Il Museo missionario-etnologico ai Musei Vaticani, fondato da Pio XI nel 1925, accoglie opere, in prevalenza di carattere religioso, provenienti da tutte le parti del mondo; è composto soprattutto da doni fatti al papa.
Nel 1925 Pio XI organizzò un grande evento: l’Esposizione Vaticana, attraverso cui poter far conoscere le tradizioni culturali, artistiche e spirituali di tutti i popoli.
Il grande successo dell’Esposizione, che mostrò a oltre un milione di visitatori più di 100.000 oggetti e opere d’arte provenienti da tutto il mondo, convinse il Pontefice a trasformare l’evento temporaneo in una esposizione permanente.
Nacque così il Museo Missionario Etnologico, che fu ospitato nel palazzo Laterano fino al suo trasferimento, avvenuto agli inizi degli anni Settanta, nella sede attuale all’interno dei Musei Vaticani.
Il primo direttore del Museo fu padre Wilhelm Schmidt, il più noto etnologo cattolico del XX secolo.
Fu lui a guidare la commissione che scelse, tra le 100.000 opere inviate per l’Esposizione, le 40.000 che rimasero come dono fatto dai popoli del mondo ai Pontefici.
A questo nucleo originario furono aggiunte alcune preziose opere fino ad allora custodite nel Museo Borgiano di Propaganda Fide, testimonianza dell’incontro del mondo Occidentale con le altre culture a partire dal XVI secolo.
Quel Museo raccolse parte della collezione del Cardinale Stefano Borgia (1731-1804), appassionato cultore di “curiosità esotiche”.
Tra queste, alcune opere precolombiane inviate in dono a Papa Innocenzo XII nel 1692, data con la quale si fa iniziare la storia del Museo Etnologico Vaticano.
Attualmente oltre 80.000 oggetti ed opere d’arte sono custoditi dal Museo Etnologico.
La collezione è molto diversificata: si va dalle migliaia di reperti preistorici provenienti da tutto il mondo e risalenti a oltre due milioni di anni fa, fino ai doni elargiti all’attuale Pontefice; dalle testimonianze delle grandi tradizioni spirituali asiatiche, a quelle delle civiltà precolombiane e dell’Islam; dalle produzioni dei popoli africani a quelle degli abitanti dell’Oceania e dell’Australia, passando per quelli delle popolazioni indigene d’America.
Per la particolarità della collezione etnologica costituita da materiale polimaterico i manufatti esposti sono soggetti a rotazione per la salvaguardia e la conservazione. Video
Musei Vaticani | Museo Gregoriano Egizio
- Sala I. Reperti epigrafici
- Sala II. Costumi funerari dell’antico Egitto
- Sala III. Ricostruzione del Serapeo del Canopo di Villa Adriana a Tivoli
- Sala IV. L’Egitto e Roma
- Sala V. Statuario
- Terrazza del Nicchione
- Sala VI. La Collezione Carlo Grassi
- Sala VII. Alessandria e Palmira
- Sala VIII. Antichità del Vicino Oriente Antico
- Sala IX. Rilievi e iscrizioni dei palazzi assiri
Fondato per iniziativa di Papa Gregorio XVI nel 1839, il Museo Gregoriano Egizio si articola in nove sale dei Musei Vaticani, con un ampio emiciclo che si apre verso la terrazza del “Nicchione della Pigna”, nel quale trovano posto alcune sculture.
Le sale, ricavate dall’ex appartamento di ritiro di Pio IV, nel palazzetto di Belvedere di Innocenzo VIII, furono curate nel loro primo allestimento dal barnabita Padre Luigi Ungarelli, eminente egittologo dell’epoca, discepolo di Ippolito Rosellini.
Del primitivo allestimento restano ancora oggi visibili, in alcune sale, diversi elementi architettonici e decorazioni parietali d’ispirazione esotica che dovevano richiamare l’ambiente nilotico.
La collezione è particolarmente interessante per il suo rapporto con il territorio, ricca di materiale dell’Egitto romano e della Roma egittizzante.
Molti monumenti del nucleo più antico arrivarono infatti nell’Urbe per volontà imperiale, con lo scopo di abbellire edifici, santuari e ville, come il gruppo statuario dagli Horti Sallustiani, oggi esposto nella sala dell’Emiciclo.
Numerose sono anche le opere egizie di manifattura romana, che testimoniano di un momento importante della storia della cultura faraonica, come è il caso dei reperti provenienti da quello splendido scenario che fu la Villa di Adriano a Tivoli.
Le ultime tre sale del percorso sono dedicate a reperti dal Vicino Oriente Antico, che andarono ad arricchire la collezione dagli anni ’70.
Il materiale esposto comprende papiri, mummie, un libro dei morti e la collezione Grassi.
Musei Vaticani | Museo Pio Cristiano
- Buon Pastore e Giona
- Sarcofagi “a strigilature”
- Sarcofagi “a fregio continuo”
- Mosaici di Ciriaca
- Sarcofagi “a doppio registro”
- Sarcofagi “a colonne”
- Natività-Epifania
Venne fondato nel 1854 da Pio IX nel Palazzo del Laterano e destinato ad accogliere le testimonianze della comunità cristiana dei primi secoli: alcune opere furono prelevate dalla preesistente raccolta del Museo Sacro o Cristiano, fondato da Benedetto XIV nella Biblioteca Apostolica Vaticana (1756), altre invece provenivano da chiese e da diversi luoghi di Roma, dov’erano spesso utilizzate quali ornamenti o fontane (i sarcofagi).
Proprio in quegli anni, inoltre, numerosi reperti, specie scultorei ed epigrafici, venivano dissepolti dalle catacombe romane, scavate dalla neonata Pontificia Commissione di Archeologia Sacra (1852): parte di essi veniva trasferita al Museo Pio Cristiano ai Musei Vaticani quando – per motivi di sicurezza, di conservazione o di “visibilità” – il luogo di ritrovamento non era ritenuto idoneo a custodirli.
Proprio il criterio di esposizione delle opere impegnò non poco il padre gesuita Giuseppe Marchi e il grande archeologo Giovanni Battista de Rossi, allora poco più che trentenne.
Le opere infatti – quasi interamente sarcofagi con figurazioni cristiane dal III al V secolo – furono disposte nella grande galleria del Palazzo seguendo un’organica divisione in gruppi simili di temi iconografici o scene bibliche, in una scansione prettamente tematica, dettata da una precisa volontà didattica e catechetica, che cercava tuttavia di salvaguardare almeno in parte lo svolgersi cronologico dei temi.
Parallelamente il giovane de Rossi si dedicava all’allestimento, alle pareti della loggia, di un aggiornatissimo Lapidario cristiano, con le centinaia di iscrizioni, per lo più sepolcrali, suddivise per temi o per luoghi di provenienza.
Nel 1963, per volontà di papa Giovanni XXIII, il Museo Pio Cristiano – insieme al Gregoriano Profano e al Museo Missionario Etnologico – fu trasferito dal Laterano al Vaticano, nel nuovo edificio che tuttora lo contiene, terminato poi da Paolo VI; qui venne riallestito da Enrico Josi, cercando di mantenere l’organizzazione precedente (sia pure rivista con criteri espositivi moderni), e nuovamente inaugurato nel 1970.
Ospita soprattutto opere di arte paleocristiana.
Tra i reperti troviamo vasi, sarcofagi, bronzi e la collezione Guglielmi.
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Musei Vaticani | Museo Gregoriano Profano
- Marmi del Partenone
- Atena e Marsia
- Mosaico dell'asàrotos òikos
- Niobide Chiaramonti
- Giulio Cesare
- Rilievi della Cancelleria
- Mausoleo degli Haterii
- Mosaici delle Terme di Caracalla
Il Museo Gregoriano Profano era stato fondato nel Palazzo Apostolico del Laterano per volontà di Gregorio XVI Cappellari il 16 maggio 1844.
In questa sede vennero esposti i ritrovamenti degli scavi archeologici pontifici effettuati negli ultimi decenni a Roma e nelle immediate vicinanze (Cerveteri, Veio, Ostia); a questi materiali si aggiunsero anche molte delle antichità che fino ad allora si trovavano stipate nei depositi di scultura.
Negli anni sessanta del Novecento tutte le collezioni lateranensi furono trasferite ai Musei Vaticani, dove nel giugno 1970 fu inaugurata questa nuova ala espositiva.
Il progetto architettonico, fortemente incoraggiato da papa Paolo VI, era stato affidato allo studio di Vincenzo, Fausto e Lucio Passarelli. L'edificio si avvaleva soprattutto della luce naturale, che si diffondeva attraverso grandi vetrate e lucernari, grazie all'assenza di nette divisioni dello spazio.
Infatti i diaframmi tra le zone espositive sono spesso costituiti da griglie metalliche, cui sono ancorati molti dei materiali, anche per fornire estrema flessibilità all'allestimento, che tende a privilegiare i contesti di provenienza.
Il Museo Gregoriano Profano documenta momenti e temi diversi dell'arte classica a partire dalla Grecia antica per proseguire fino alla tarda età romana imperiale.
Il percorso museale ha inizio dalle sculture della sezione degli originali greci, composta per lo più da stele funerarie, rilievi votivi e frammenti di sculture architettoniche.
La visita prosegue attraverso gli spazi dedicati alle copie e alle rielaborazioni da originali greci eseguite in epoca romana, che comprendono soprattutto ritratti e scultura ideale.
Grande rilievo è dato alla scultura di età romana imperiale, documentata da importanti opere provenienti da edifici e monumenti pubblici e privati, nonché da ritratti e statue iconiche; accanto a queste si segnala un'articolata raccolta di scultura funeraria (urne, altari, sarcofagi).
Musei Vaticani | Padiglione delle Carrozze
- Berlina di Gran Gala
- Berlina del Cardinale Luciano Luigi Bonaparte
- Berlina di Gala con Trono
- Carrozza da Viaggio di Ferdinando II
- Carrozza da viaggio
- Landau
- Portantina di Papa Leone XIII
- Portantina di Papa Giovanni XXIII
- Graham Paige - Type 837
- Citroën Lictoria C6
- Mercedes-Benz 460 Nürburg limousine
- Mercedes-Benz 300 SEL limousine
- Fiat 1107 Nuova Campagnola
- Papamobili
- Volkswagen “Maggiolino” VW Typ 1 Beetle
- Volante della Ferrari Formula 1
- Renault 4
Inaugurato il 19 aprile 1973 da Paolo VI, il nucleo centrale della raccolta è costituito dalla magnifica Berlina di Gran Gala, costruita a Roma nel 1826 da Leone XII.
Notevoli anche le nove berline cerimoniali appartenute a Pontefici o Principi di Santa Romana Chiesa, come quella del Card. Luciano Luigi Bonaparte, che l’ebbe in dono dal cugino Napoleone III, imperatore di Francia.
Oltre alle carrozze di “protocollo” sono esposte anche due storiche berline da viaggio, una utilizzata da Pio IX nel suo rientro dall’esilio dopo i moti rivoluzionari della Repubblica Romana, l’altra per l’ultimo viaggio da “Papa Re”.
Tutte queste carrozze, comprese le portantine, gli abiti di corte e le bardature per i cavalli, sono una testimonianza storica della mobilità pontificia.
Della collezione fanno infatti parte anche alcune automobili, che ne segnano il progresso.
Se l’ingresso in Vaticano della prima automobile, targa Corpo Diplomatico 404, avvenne poco dopo l’inizio del pontificato di Pio XI, quando l’Associazione delle Donne Cattoliche di Milano donò al Papa una Bianchi Tipo 15, è solo con la firma dei Patti Lateranensi (1929) che le principali case automobilistiche internazionali faranno a gara per donare le loro vetture migliori.
È così che è arrivata la Graham Paige 837 e la Citroën Lictoria C6, appositamente progettata, oltre alla prima Mercedes, la 460 Nürburg limousine disegnata da Ferdinand Porsche.
Della “flotta automobilistica” dei Musei Vaticani fanno parte anche la Mercedes 300 Sel, la Fiat Campagnola legata all’attentato subito da Giovanni Paolo II nel 1981 in Piazza San Pietro, tre Papamobili (Land Rover, Toyota e Mercedes 230 GE), l’ultimo Maggiolino prodotto dalla Volkswagen in Messico nel 2003 e la Renault 4 regalata nel 2013 a Papa Francesco.
Musei Vaticani | Museo Filatelico Numismatico
Il Museo Filatelico e Numismatico è l'ultima collezione entrata a far parte dei Musei Vaticani.
Esso è stato inaugurato il 25 settembre 2007.
Il museo raccoglie tutti i francobolli e le monete della Città del Vaticano, dal momento della sua nascita (1929) ad oggi; ed inoltre ospita una vasta raccolta filatelica dell'ex Stato Pontificio, con alcune rarità.
Il museo è diviso in due sezioni:
- la sezione filatelica, comprende: le emissioni filateliche suddivise per periodi di pontificato (da Pio XII a Benedetto XVI); cartoline postali e aerogrammi; emissioni dello Stato Pontificio (1852-1870), con francobolli nuovi, annullati e buste affrancate "viaggiate"; vetrine contenenti lastre, cilindri, placchette, etc. ed altro materiale tipografico utilizzato per la stampa in calcografia dei francobolli; ed inoltre sono esposti alle pareti alcuni bozzetti da cui sono stati ricavati i francobolli;
- la sezione numismatica, che comprende: monete divisionali dal 1929 al 2001; le monete commemorative dal 1979 al 2001; le monete dopo il 2001 in Euro; le monete dell'Anno Santo; monete e francobolli emessi durante la Sede vacante.
Musei Vaticani | Biblioteca Apostolica Vaticana
I Musei della Biblioteca Apostolica Vaticana costituiscono una delle più complesse, articolate ed estese sezioni dei Musei Vaticani, a cui sono passati di competenza dal 1º ottobre 1999.
Le sale che oggi ospitano i musei erano la sede, fino a papa Leone XIII, della Biblioteca Apostolica Vaticana e delle sue varie collezioni.
I musei della biblioteca sono costituiti da una serie di raccolte che si sono formate nel corso dei secoli: monete, cammei, vetri e suppellettili catacombali, intagli antichi, gemme, cristalli, bronzi, smalti, avori, ecc.; con Pio X le collezioni di pittura sono state trasferite alla Pinacoteca vaticana; nel corso del XX secolo è poi invalso l'uso di destinare ai musei della biblioteca i doni offerti ai papi da sovrani e capi di Stato.
Clicca QUI per accedere alle collezioni digitalizzate della Biblioteca Apostolica Vaticana: manoscritti, incunaboli, materiali archivistici e inventariali nonché materiali grafici, monete e medaglie, materiali a stampa (progetti speciali) attualmente disponibili.
Clicca QUI per il Catalogo Online della BAV: Documenti di archivio, Manoscritti, Monete e Medaglie, Stampati, Cataloghi speciali (Incunaboli, Materiali grafici e oggetti d'arte) e Catalogo generale.
Musei Vaticani | Museo Cristiano
- Sala degli Indirizzi
- Sala dei Papiri
- Sala del Museo Cristiano
Il 4 ottobre 1757, con lettera apostolica Ad Optimarum Artium, Benedetto XIV (Lambertini, 1740-1758) decretava la nascita, in Vaticano, del Museo Cristiano, all’estremità meridionale del «corridore» delimitante da ovest il Cortile del Belvedere.
L’atto medesimo che ne sanciva l’istituzione, preceduto dall’acquisizione di nuclei collezionistici privati, poneva l’ingente raccolta sotto le cure dell’erudito veronese Francesco Vettori (1692-1770), chiamato a sovrintendere a un complesso di oltre mille documenti.
Il Museo stesso, incentrato sull’esposizione di reperti di provenienza catacombale, si proponeva di illuminare, attraverso gli strumenti dell’esegesi storiografica, il patrimonio di fede e cultura dei Cristiani dei primi secoli, nel segno di una lettura apologetica e, al tempo stesso, filologica degli oggetti rinvenuti.
Sotto la guida del Vettori, i materiali giudicati attinenti al disegno storico della collezione furono allestiti secondo criteri di carattere eminentemente classificatorio, all’interno di armadi appositamente concepiti per la loro esposizione.
Con l’espandersi della collezione e il suo estendersi alle testimonianze d’arte e di culto dei secoli successivi, il Museo giunse gradatamente a occupare le stanze ad esso adiacenti, lungo la direttrice meridionale del «corridore» di Belvedere, come la Sala dei Papiri, destinata da Clemente XIII (Rezzonico, 1758-1769) all’esposizione dei papiri latini della chiesa ravennate (VI-IX sec.), e quella detta poi degli Indirizzi, assegnata da Pio VII (Chiaramonti, 1800-1821) all’alloggiamento dei libri della propria Biblioteca e da Gregorio XVI (Cappellari, 1831-1846) all’esposizione di “una rara ed importante raccolta di pitture cristiane dei primordi dell’arte” (quella dei cosiddetti “primitivi”, trasferiti poi da San Pio X nella nuova Pinacoteca).
Con l’allontanamento delle pitture nel 1909, questa sala dei Musei Vaticani fu adibita alla custodia degli “indirizzi” di omaggio a Leone XIII (Pecci, 1878-1903) e a Pio X (Sarto, 1903-1914), cui essa deve il nome che ancora oggi conserva.
Dal 1936 vi si conservano le straordinarie raccolte di arti applicate della Biblioteca, trasferite dal 1999 alla competenza dei Musei Vaticani.
Musei Vaticani | Museo Chiaramonti
- Ercole e Telefo bambino
- Gradiva
Il Museo Chiaramonti, allestito nel loggiato che metteva in comunicazione il Palazzetto di Belvedere con l'insieme dei Palazzi Vaticani, prende la sua denominazione da papa Pio VII Chiaramonti (1800-1823) e segna un momento importante nella storia delle collezioni vaticane.
Con il trattato di Tolentino (1797) lo Stato Pontificio aveva dovuto cedere alla Francia di Napoleone i maggiori capolavori del Museo Pio Clementino.
Successivamente il Congresso di Vienna (1815) e l'azione diplomatica di Antonio Canova permisero il recupero di quasi tutte le opere di scultura sequestrate.
Attraverso una vasta campagna di acquisti, effettuata presso gli antiquari romani e gli scavatori attivi nello Stato Pontificio, si realizzò il nuovo museo a partire dal 1806.
I criteri dell'ordinamento furono dettati dallo stesso Canova, che mirava a presentare insieme le "tre arti sorelle": la scultura, nelle opere antiche esposte; l'architettura, nelle mensole ottenute da antiche cornici architettoniche e la pittura, negli affreschi.
Questi ultimi furono realizzati da giovani artisti dell'epoca a spese dello stesso Canova.
Il ciclo pittorico illustrava le benemerenze del pontefice per le arti e i monumenti di Roma; il rientro delle opere vaticane dalla Francia è commemorato nella lunetta della parete XXI.
L'allestimento, dall'assetto rigoroso che evita di isolare i capolavori favorendo un reciproco confronto, mostra l'influenza delle idee di Quatremère de Quincy che, in polemica con i sequestri francesi, considerava le opere d'arte realmente comprensibili solo se fruite nel loro luogo di origine e se messe a confronto anche con esemplari di minore livello qualitativo.
Costituito da circa un migliaio di reperti di scultura antica, il Museo Chiaramonti presenta una delle più cospicue collezioni di ritratti romani, ma è ricco anche di esempi di scultura ideale e funeraria.
È composto da un'ampia galleria ad archi ai lati della quale sono esposte numerose sculture, sarcofagi e fregi.
La nuova ala dei Musei Vaticani, il Braccio Nuovo, costruita da Raphael Stern, ospita celebri statue come l'Augusto di Prima Porta.
Un'altra parte del museo Chiaramonti è la Galeria lapidaria, che contiene più di 3 000 tavolette ed iscrizioni di pietra, rappresentando la più grande collezione del mondo di questo tipo di manufatti. Tuttavia viene aperta ai visitatori solo su richiesta, generalmente per motivi di studio.
Musei Vaticani | Palazzi Vaticani - Le Gallerie, Le Cappelle, Le Stanze o Sale
Musei Vaticani | Galleria detta "Braccio Nuovo"
- Augusto di Prima Porta
- Nilo
- Pavoni
Il rientro dalla Francia delle opere confiscate da Napoleone comportò un riordino delle collezioni pontificie e rese opportuna la costruzione di un nuovo settore di scultura classica ai Musei Vaticani.
Papa Pio VII (1800-1823) affidò l'incarico di realizzare il cosiddetto Braccio Nuovo del Museo Chiaramonti all'architetto romano Raffaele Stern; sopraggiunta la morte di Stern nel 1820, il lavoro fu proseguito da Pasquale Belli fino all'inaugurazione nel febbraio 1822.
All'allestimento soprintendeva la Commissione di Belle Arti, presieduta da Antonio Canova e formata anche da Filippo Aurelio Visconti e Antonio D'Este.
La nuova fabbrica ottocentesca, che può essere considerata una delle più significative testimonianze dell'architettura neoclassica a Roma, si inserì tra le gallerie del Museo Chiaramonti e quelle della Biblioteca Apostolica.
Le linee architettoniche, l'uso sfarzoso dei marmi, in gran parte colorati e provenienti da edifici di età romana, compongono un ideale spazio antico che mira a ricreare per le sculture un contesto il più simile possibile a quello di origine.
Anche la pavimentazione è funzionale a tale intento, costituita come è da grandi lastre marmoree che inquadrano mosaici romani.
Lungo le pareti corrono invece fregi in stucco, realizzati da Francesco Massimiliano Laboureur e ispirati a celebri rilievi antichi.
L'edificio si articola in una galleria lunga 68 metri, coperta da una volta a cassettoni con lucernari; al centro, da un lato si apre a emiciclo, dall'altro una serie di gradini permettono l'accesso al monumentale portico che affaccia sul Cortile della Pigna.
Le pareti sono scandite da ventotto nicchie che ospitano statue dalle dimensioni decisamente maggiori del vero, come i ritratti imperiali e le repliche romane di famosi originali greci.
Sulle mensole e sulle semicolonne i busti in esposizione costituiscono una galleria di celebri personaggi dell'antichità.
Musei Vaticani | Galleria Lapidaria
- Sezione I. Religione e forme di devozione
- Sezione II. Imperatori e Casa Imperiale
- Sezione III. Istituzioni di governo a Roma e nell’Impero
- Sezione IV. Iscrizioni dagli scavi di Ostia
- Sezione V. Struttura e organizzazione dell’esercito
- Sezione VI. Il mondo del lavoro. Professioni e mestieri
- Sezione VII. Iscrizioni in lingua greca
- Sezione VIII. I rapporti familiari e sociali
- Sezione IX. Governo ed esercito: altre iscrizioni
- Sezione X. Lavoro, famiglia e società: altre iscrizioni
- Sezione XI. Iscrizioni di vario contenuto: ultime acquisizioni
- Sezione XII. Famiglia e società: altre iscrizioni
- Sezione XIII. Iscrizioni di vario contenuto
- Sezione XIV. Iscrizioni dei cristiani, I
- Sezione XV. Iscrizioni dei cristiani in lingua greca
- Sezione XVI. Iscrizioni dei cristiani, II
- Sezione XVII. Iscrizioni dei cristiani con data consolare
La Galleria Lapidaria, sede della più ricca collezione lapidaria vaticana, occupa la parte meridionale del lungo corridoio nato per congiungere il Palazzo Vaticano con il Palazzetto del Belvedere e anticamente chiamato Ambulacrum Iulianum dal nome di papa Giulio II (1503-1523) o “corridore bramantesco” dal nome dell’architetto che lo progettò.
¬¬Il primo nucleo della raccolta, organicamente iniziata da Clemente XIV (1769-1774), fondatore del Museo Clementino, e arricchita poi dagli acquisti dei pontefici Pio VI e Pio VII e dalle donazioni di collezioni private (Zelada, Galletti, Rusconi, Marini), era stato sistemato, già dal 1772, nella parte nord dell’ambulacro.
Quando Pio VII decise di creare qui l’attuale Museo Chiaramonti, le lapidi – tra il 1805 e il 1808 – furono smurate e trasferite nell’odierna Galleria, che negli stessi anni vedeva anche l’arrivo di numerose epigrafi di nuova acquisizione.
Curatore dei due allestimenti fu Gaetano Marini, coadiutore del Prefetto dell’Archivio Vaticano dal 1772, Prefetto dal 1798, primo Custode della Biblioteca Apostolica dal 1800.
Perché un funzionario della Biblioteca? Perché essa aveva allora competenza sulla raccolta epigrafica: le iscrizioni lapidee erano assimilate ai manoscritti e ai documenti a stampa come fonti di conoscenza.
La Galleria costituisce infatti una vera “biblioteca di pietra”, vestibolo di quella libraria (che ha il suo antico ingresso nella Galleria stessa) e ricca di più di 3400 “pagine” scritte su lastre, basi, cippi, cinerari, are, sarcofagi databili fra il I sec. a. C. e il VI d. C.
Distribuite in 48 pareti dei Musei Vaticani (alcune allestite anche posteriormente al Marini) secondo il contenuto – religione, imperatori, consoli e magistrati, esercito, professioni e mestieri, famiglia e società, cristianesimo, scavi di Ostia – costituiscono una fonte importante per la conoscenza di molti aspetti del mondo antico e tardo-antico: popoli, nazioni, rapporti internazionali, guerre, esercito e marina, strutture amministrative, burocratiche, giuridiche, economiche, nomi di persona e sintesi biografiche (carriere, professioni), classi sociali, religiosità e spiritualità personale o collettiva, onori tributati a persone viventi e commemorazioni di persone scomparse, atti di munificenza privata e pubblica in campo sociale, edilizio, religioso, culto dei morti e della tomba, testamenti, forme private e pubbliche di vita associativa, avvisi, segnalazioni, divieti, insegne, inventari, dati topografici.
Sarcofagi, are e basi sono collocati anche sul pavimento.
Le pareti sono corredate da didascalie in latino risalenti in parte all’allestimento del Marini e sono numerate (con numeri romani), entrando dal Chiaramonti, in ordine decrescente alternativamente pari a destra e dispari a sinistra.
Per comodità la presentazione è qui organizzata per sezioni tematiche corrispondenti a pareti singole o a gruppi di pareti, prima del lato sinistro (a partire dal Chiaramonti sino al fondo della Galleria), poi di quello destro (procedendo in senso inverso).
All’interno delle sezioni, è mantenuta la numerazione decrescente delle pareti lungo il lato sinistro, per riprendere quella progressiva lungo il lato opposto.
Musei Vaticani | Galleria dei Candelabri detta anche Galleria degli Arazzi
La Galleria dei Candelabri, detta anche Galleria degli Arazzi, fa parte dei Musei Vaticani e venne allestita nel 1838 con la serie degli arazzi della Scuola Nuova, così chiamata per distinguerli da quelli della Scuola Vecchia, esposti nella Pinacoteca Vaticana e tessuti al tempo di Leone X (1513-1521) nella manifattura di Pieter van Aelst a Bruxelles su cartoni di Raffaello.
Gli arazzi della Scuola Nuova furono eseguiti della stessa manifattura, ma su disegni degli allievi di Raffaello ed al tempo di Clemente VII (1523-1534).
Essi furono esposti per la prima volta nel 1531 nella Cappella Sistina.
L'itinerario museale presenta due serie di arazzi, databili dal XVI al XVII secolo.
Di particolare interesse storico-artistico:
- Arazzi con Storie del Vangelo (XVI secolo), di manifattura fiamminga di Pieter van Aelst, eseguiti su disegni degli allievi di Raffaello Sanzio, tra cui spiccano:
- Adorazione dei pastori
- Presentazione di Gesù al Tempio
- Strage degli innocenti con paesaggio
- Strage degli innocenti con il Pantheon
- Cena in Emmaus
- Apparizione di Gesù a santa Maria Maddalena
- Resurrezione di Gesù Cristo
- Arazzi con Storie della vita di papa Urbano VIII (XVII secolo), eseguiti della manifattura Barberini di Roma, che venne fondata nel 1627 dal cardinale Francesco Barberini, nipote del Pontefice, e fu chiusa nel 1683, subito dopo la morte del prelato (1679). Tra questi si notano:
- Vincenzo Maffeo Barberini si laurea all'Università di Pisa.
- Vincenzo Maffeo Barberini regola le acque del Lago Trasimeno.
- Vincenzo Maffeo Barberini creato cardinale da papa Paolo V.
- Vincenzo Maffeo Barberini eletto papa col nome di Urbano VIII.
- La contessa Matilde dona i suoi possedimenti alla Santa Sede.
- Papa Urbano VIII riceve l'omaggio delle nazioni.
- Papa Urbano VIII conclude la pace nei paesi ecclesiastici.
- Papa Urbano VIII approva il progetto del Forte Urbano.
- Papa Urbano VIII consacra la Basilica di San Pietro.
- Papa Urbano VIII preserva Roma dalla peste e dalla carestia.
Musei Vaticani | Galleria delle Carte Geografiche
La Galleria delle carte geografiche è situata nei palazzi Vaticani ed è oggi inclusa nel perimetro dei Musei Vaticani.
La galleria è posta lungo l'itinerario che conduce alla Cappella Sistina; è un'eccezionale rappresentazione cartografica delle regioni d'Italia, realizzata tra il 1580 e il 1585.
Costituisce in tal modo una testimonianza preziosa delle cognizioni geografiche e dello stato dei luoghi in quell'epoca.
Il documento è ragguardevole anche perché nella reggia papale del tempo viene già affermata l'unità geografica e spirituale dell'Italia intera.
È un corridoio di 120 metri di lunghezza e sei di larghezza, sulle cui pareti sono raffigurate quaranta carte delle varie regioni d'Italia, ciascuna con le mappe delle principali città, e si conclude con le vedute dei principali porti italiani del Cinquecento: Civitavecchia, Genova, Ancona e Venezia.
Ogni mappa di regione è accompagnata sul soffitto dalle rappresentazioni dei principali eventi religiosi avvenuti in essa.
Fu papa Gregorio XIII ad ordinare la costruzione della galleria, e l'opera fu diretta dal matematico, geografo e amico del papa Ignazio Danti, domenicano, che si occupò della sua realizzazione tra il 1581 e il 1583.
Percorrere la galleria è, secondo le intenzioni di Ignazio Danti, come viaggiare lungo gli Appennini e affacciarsi sulla costa adriatica, verso est, e tirrenica, verso ovest. I
nfatti così sono distribuite sulle due pareti le mappe regionali e le vedute dei porti che completano la galleria: verso destra quelle adriatiche e verso sinistra quelle tirreniche.
Gli artisti che vi lavorarono furono Girolamo Muziano, Cesare Nebbia, i due fratelli fiamminghi Matthijs Bril e Paul Bril, Giovanni Antonio Vanosino da Varese e Antonio Danti che la decorarono e affrescarono tra 1580 e il 1585, seguendo le indicazioni di Ignazio Danti, originario di Perugia.
La volta è dipinta da Antonio Tempesta di Firenze e da altri.
La Galleria vaticana delle Carte Geografiche ha un interesse artistico, geografico ma anche simbolico: l'insieme di tutte le carte rappresentate è testimonianza di una unità d'Italia anche spirituale, oltre che geografica.
Si deve notare che la convenzione moderna e arbitraria di situare il nord nella parte alta della mappa non fosse valido nel Cinquecento, per cui alcune mappe appaiono al visitatore di oggi come se fossero capovolte.
La galleria è lunga 120 metri e comprende le seguenti carte, sulle quali è spesso rappresentata la pianta della città più importante:
- tre carte per la Puglia:
- Sallentina Hydrunti Terra (Terra d'Otranto salentina), comprendente gran parte della regione;
- Apulia (Puglia), raffigurante la Capitanata e anche i contermini Molise e territorio beneventano; contiene una rappresentazione della battaglia di Canne;
- Tremitae (Tremiti).
- una carta per l'Abruzzo:
- Aprutium (Abruzzo), con rappresentazione della città dell'Aquila.
- tre carte per le Marche:
- Picenum (Piceno), le attuali province di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata, con rappresentazione della città di Macerata;
- Anconitanus Ager (Territorio anconetano), con pianta di Loreto (Ancona è rappresentata a parte, al termine della galleria);
- Urbini Ducatus (Ducato di Urbino), rappresentante anche qualche territorio limitrofo, con piante della capitale e di Pesaro; è anche rappresentata la battaglia del Metauro.
- Ferrariae Ducatus e particolare dell'assedio della Mirandola di papa Giulio II
- quattro carte per l'Emilia-Romagna:
- Flaminia, ovvero la Romagna, con pianta di Rimini e rappresentazione del passaggio del Rubicone (Iacta est alea) e della battaglia di Ravenna;
- Ferrariae Ducatus (Ducato di Ferrara), con pianta della capitale e di Comacchio (la mappa raffigura anche il celebre assedio della Mirandola di papa Giulio II del 1510-1511);
- Bononiensis Ditio (Signoria bolognese), con pianta e panorama del capoluogo;
- Placentiae et Parmae Ducatus (Ducato di Piacenza e Parma), con carte delle due capitali; raffigurate anche le battaglie della Trebbia e di Fornovo.
- Sicilia, rappresentata con il nord verso il basso.
- quattro carte per il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia, il Trentino-Alto Adige e la Lombardia (le quattro regioni non sono distinte, in quanto nel Cinquecento i domini veneziani comprendevano vaste aree lombarde, giuliane e friulane):
- Mantuae Ducatus (Ducato di Mantova), con pianta della capitale e rappresentazione di Attila fermato da Leone Magno;
- Forum Iulii (Friuli), ovvero gli attuali Friuli e Venezia Giulia (Istria compresa);
- Transpadana Venetorum Ditio (Dominio dei Veneziani nella Transpadana), ovvero lo Stato di Terraferma della Repubblica di Venezia (dall'Adda alle Lagune) e il vicino principato vescovile di Trento, con piante di Vicenza e di Padova (Venezia è rappresentata a parte al termine della galleria);
- Mediolanensis Ducatus (Ducato milanese), raffigurante anche i contermini baliaggi cisalpini della Confederazione; sono presenti una pianta di Milano, la raffigurazione delle battaglie del Ticino e di Pavia e della resa di Desiderio a Carlo Magno nel 774.
- una carta per il Piemonte:
- Pedemontium et Monsferratum (Piemonte e Monferrato), con pianta di Torino.
- una carta per la Liguria:
- Liguria (Genova è rappresentata a parte, al termine della galleria).
- due carte per la Toscana:
- Etruria, con pianta di Firenze e di San Miniato;
- Ilva (Elba), con pianta di Portoferraio.
- due carte per l'Umbria:
- Perusinus ac Tifernas (Territorio perugino e tifernate), con pianta di Perugia e raffigurazione della battaglia del Trasimeno;
- Umbria, con pianta di Spoleto.
- due carte per il Lazio:
- Tuscia Suburbicaria, ovvero il Patrimonio di San Pietro in Tuscia, con pianta di Viterbo e di Orvieto;
- Latium et Sabina (Lazio e Sabina), con pianta di Roma.
- due carte per la Campania:
- Campania, ovvero il territorio indicato fino all'età contemporanea con tale termine (molto più piccolo dell'attuale regione); sono presenti una pianta di Napoli e la rappresentazione della battaglia del Garigliano del 915;
- Principatus Salerni (Principato di Salerno), con pianta del Santuario di Montevergine.
- una carta per la Basilicata:
- Lucania.
- due carte per la Calabria:
- Calabria Citerior (Calabria Citeriore);
- Calabria Ulterior (Calabria Ulteriore).
- una carta per la Sicilia:
- Sicilia, con piante di Palermo, Siracusa e Messina.
- una carta per la Sardegna:
- Sardinia.
- una carta per la Corsica:
- Corsica.
- una carta per Malta:Eliminato:
- Malta, con pianta de La Valletta e rappresentazione dell'assedio di questa nel 1565.
Inoltre sono presenti anche le raffigurazioni di due territori situati al di fuori della regione geografica italiana, ovvero una carta del Territorio di Avignone (Avenionensis Ditio et Venaisinus Comitatus), con pianta del capoluogo, in quanto allora questa città transalpina era possesso pontificio, e una di Corfù, con vicino una raffigurazione della battaglia di Lepanto.
Carte generali e vedute dei porti
- Italia antiqua (Italia antica), con l'iscrizione Commendatur Italia locorum salubritate, coeli temperie, soli ubertate
- Italia nova (Italia moderna), con l'iscrizione Italia artium studiorumque plena semper est habita
A completare mirabilmente la serie delle carte geografiche ci sono le vedute prospettiche dei principali porti italiani del Cinquecento, di gran valore artistico e anche testimonianze fondamentali dell'aspetto di quelle città nel Rinascimento: Venezia, Ancona, Genova e Civitavecchia.
Dipinti del soffitto
Sul soffitto sono rappresentati episodi miracolosi, posti in corrispondenza della regione italiana in cui sono avvenuti.
In questo modo l'Italia intera è vista come la terra in cui la Provvidenza divina, in ogni sua parte, ha diffuso la propria grazia.
Musei Vaticani | Cappella Sistina
- Volta
- Giudizio Universale
- Parete Nord
- Parete Sud
- Parete di ingresso
Gli affreschi che qui contempliamo ci introducono nel mondo dei contenuti della Rivelazione. Le verità della nostra fede ci parlano qui da ogni parte. Da esse il genio umano ha tratto la sua ispirazione impegnandosi a rivestirle di forme di ineguagliabile bellezza.
Con queste parole, pronunciate nell'Omelia durante la Santa Messa celebrata l'8 aprile del 1994 in occasione della fine del restauro del Giudizio Universale, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha voluto porre l'accento sulla sacralità del luogo in cui i dipinti, come le immagini di un libro, servono a rendere più comprensibili le verità espresse nelle Sacre Scritture.
La Cappella Sistina prende il nome da Papa Sisto IV della Rovere (pontefice dal 1471 al 1484) che fece ristrutturare l'antica Cappella Magna tra il 1477 e il 1480.
La decorazione quattrocentesca delle pareti comprende: i finti tendaggi, le Storie di Mosè (pareti sud - ingresso) e di Cristo (pareti nord - ingresso) e i ritratti dei Pontefici (pareti nord - sud - ingresso).
Essa fu eseguita da un'équipe di pittori costituita inizialmente da Pietro Perugino, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, coadiuvati dalle rispettive botteghe e da alcuni più stretti collaboratori tra i quali spiccano Biagio di Antonio, Bartolomeo della Gatta e Luca Signorelli.
Sulla volta Pier Matteo d'Amelia dipinse un cielo stellato.
L’esecuzione degli affreschi ebbe inizio nel 1481 e fu portata a termine nel 1482.
A quest’epoca risalgono anche le seguenti opere in marmo: la transenna, la cantoria (ove prendevano posto i cantori), e lo stemma pontificio sopra la porta d’ingresso.
Il 15 agosto del 1483 Sisto IV consacrò la nuova cappella dedicandola all'Assunta.
Giulio II della Rovere (pontefice dal 1503 al 1513), nipote di Sisto IV, decise di modificarne in parte la decorazione, affidando nel 1508 l'incarico a Michelangelo Buonarroti, il quale dipinse la volta e, sulla parte alta delle pareti, le lunette.
Nell'ottobre 1512 il lavoro era compiuto e il giorno di Ognissanti (1° novembre) Giulio II inaugurò la Sistina con una messa solenne.
Nei nove riquadri centrali sono raffigurate le Storie della Genesi, dalla Creazione alla Caduta dell'uomo, al Diluvio e al successivo rinascere dell'umanità con la famiglia di Noè.
E' probabile il riferimento alla prima lettera di Pietro (3,20-22) dove l'acqua del diluvio è vista come segno profetico dell'acqua del Battesimo, dalla quale esce un'umanità nuova, quella dei salvati da Cristo.
Negli spazi tra le vele compaiono, seduti su monumentali troni, cinque Sibille e sette Profeti.
Nei quattro pennacchi angolari sono le Salvazioni miracolose di Israele mentre nelle vele e nelle lunette (pareti nord - sud - ingresso) figurano gli Antenati di Cristo.
Verso la fine del 1533 Clemente VII de' Medici (pontefice dal 1523 al 1534) incaricò Michelangelo di modificare ulteriormente la decorazione della Sistina dipingendo sulla parete d'altare il Giudizio Universale.
Ciò per i Musei Vaticani causò la perdita degli affreschi quattrocenteschi, vale a dire della pala con la Vergine Assunta tra gli Apostoli e i primi due episodi delle storie di Mosè e di Cristo, dipinti dal Perugino.
In questo affresco Michelangelo volle rappresentare il ritorno glorioso di Cristo alla luce dei testi del Nuovo Testamento (cfr. Matteo 24,30-31; 25,31-46; I lettera ai Corinzi 15,51-55).
L'artista iniziò la grandiosa opera nel 1536 durante il pontificato di Paolo III e la portò a compimento nell'autunno del 1541.
Michelangelo, servendosi delle sue straordinarie capacità artistiche, ha cercato di tradurre in forme visibili l'invisibile bellezza e maestà di Dio e guidato dalle parole della Genesi ha fatto della Cappella Sistina "il santuario della teologia del corpo umano" (Omelia, pronunciata da S.S. Giovanni Paolo II, 8 aprile 1994).
Nella seconda metà del Cinquecento vennero rifatti gli affreschi della Parete d'ingresso: Hendrik van den Broeck ridipinse la Resurrezione di Cristo del Ghirlandaio, mentre Matteo da Lecce la Disputa sul corpo di Mosè del Signorelli, i quali erano stati gravemente danneggiati dal crollo della porta avvenuto nel 1522.
Gli affreschi della Cappella Sistina hanno subito un completo restauro tra il 1979 e il 1999.
L'intervento ha riguardato anche le parti marmoree e cioè la cantoria, la transenna e lo stemma di Sisto IV.
Nella Cappella viene ancor oggi tenuto il Conclave per l'elezione del Sommo Pontefice.
Sono ancora le parole dell'Omelia pronunciata da Sua Santità Giovanni Paolo II a sottolineare la primaria importanza della Sistina nella vita della Chiesa:
"La Cappella Sistina è il luogo che, per ogni Papa, racchiude il ricordo di un giorno particolare della sua vita [...].
Proprio qui, in questo spazio sacro, si raccolgono i Cardinali, aspettando la manifestazione della volontà di Cristo riguardo alla persona del Successore di San Pietro [...]
E qui, in spirito di obbedienza a Cristo e affidandomi alla sua Madre, ho accettato l'elezione scaturita dal Conclave, dichiarando [...] la mia disponibilità a servire la Chiesa.
Così dunque la Cappella Sistina ancora una volta è diventata davanti a tutta la Comunità cattolica il luogo dell'azione dello Spirito Santo che costituisce nella Chiesa i Vescovi, costituisce in modo particolare colui che deve essere il Vescovo di Roma e il Successore di Pietro."
Musei Vaticani | Cappella Niccolina
Situata nel cuore del Palazzo Apostolico, a due passi dalle Logge di Raffaello e dagli spazi dove si sarebbe sviluppato in seguito l’Appartamento di Giulio II e Leone X, la Cappella Niccolina deve il suo nome a papa Niccolò V (Tommaso Parentucelli, 1447-1455), che ne ordinò la costruzione in corrispondenza degli ultimi due piani della torre fatta costruire da Innocenzo III (1198-1216), ovvero dal quarto pontefice di questo nome (1243-1254), a protezione di un preesistente nucleo palaziale.
La sontuosa decorazione della Cappella – che due pagamenti del febbraio-marzo 1448 assegnano al domenicano Fra Giovanni da Fiesole, detto il Beato Angelico (c.1395-1455) – è una delle opere capitali del Quattrocento italiano ed è probabilmente il vertice di quello che è stato definito l’«Umanesimo cristiano» del pittore fiorentino.
Gli affreschi che ne rivestono l’interno hanno inizio sulla parete a destra dell’altare, verso le camere secrete del papa, e si svolgono in due ordini sovrapposti lungo l’intero perimetro dell’ambiente, fino a concludersi sulla parete opposta, verso la camera paramenti superior, dove aveva sede la Guardia dei Lanzi.
Vi sono illustrati episodi della vita dei Santi Stefano e Lorenzo, espressi in parallelo secondo la legge retorica delle corrispondenze, a partire dalle rispettive consacrazioni diaconali fino alla generosa testimonianza di fede, culminata nel martirio.
Il soffitto, spartito in quattro vele dai costoloni della volta, è dominato dalla raffigurazione dei Quattro Evangelisti, la cui autorità – su cui riposano i fondamenti della dottrina cristiana – viene simbolicamente trasmessa agli otto Dottori della Chiesa, rappresentati entro nicchie sugli arconi che incorniciano la pareti.
Se numerose, nelle architetture e nelle pose, appaiono le citazioni desunte dall’antico, ormai pienamente rinascimentale è la forza morale che sprigiona dalla varia umanità degli affreschi, eroica e dignitosa come i protagonisti della storia classica.
Musei Vaticani | Cappella di Urbano VIII
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La cappella nasce nel 1631 quando gli architetti pontifici, su richiesta di papa Urbano VIII Barberini, destinarono a funzioni liturgiche una cameretta di 5 metri per 4,40, coprendola di una volta lunettata e decorandola con ricchi ornati di stucco dorato.
Posta nell’angolo sud-ovest della Torre Borgia, contigua alla Stanza dell’Incendio di Borgo, il piccolo ambiente diveniva la cappella privata “dell’appartamento vecchio” corrispondente alle Stanze decorate da Raffaello e utilizzate dai pontefici per quasi tutto il Cinquecento come dimora pontificia.
Gli affreschi raffigurano Storie della Passione di Cristo.
Nelle lunette compaiono la Flagellazione, l’Incoronazione di spine, l’Incontro di Cristo con la Veronica, mentre sulla volta, il riquadro centrale con Cristo nell’orto è circondato da angioletti con strumenti della Passione.
La decorazione pittorica fu affidata al pittore fiorentino Alessandro Vaiani che iniziò il lavoro poco prima di morire, probabilmente assistito dalla figlia Anna Maria.
La pala d’altare ad affresco raffigurante una Pietà con la Madonna, San Giovanni, Santa Maria Maddalena e Nicodemo fu, invece, realizzata qualche anno dopo, nel 1635, da Pietro da Cortona.
Non si sa quale fosse l’aspetto originario delle pareti oggi decorate da corami (provenienti dal Palazzo Apostolico Vaticano e montati in cappella probabilmente nella seconda metà dell’Ottocento).
Prezioso elemento decorativo di dimore ricche e nobili, i corami erano una sorta di antiche carte da parati in cuoio costituite da pelli di capra, montone o vitello appositamente trattate con elementi vegetali ed in seguito rivestite da una lamina d’argento o di stagno.
Il singolare aspetto dorato che caratterizza tali manufatti si otteneva stendendo sull’intera superficie vernici a base di olio di lino e resine miste ad aloe o zafferano, dal colore giallognolo, che sfruttava in trasparenza la luminosità della lamina metallica, simulando così l’effetto dell’oro.
Musei Vaticani | Cappella di San Pietro Martire
- Manifattura alto-medievale (Siria?), Seta dell’Annunciazione
- Manifattura alto-medievale (Siria?), Seta della Natività
- Reliquiario in legno dipinto con scene della vita di Cristo
- Pisside in argento con l’Adorazione della Croce (Capsella Vaticana)
- Croce smaltata di Pasquale I (817-824)
- Custodia in argento della "Croce gemmata"
- Custodia in argento della "Croce smaltata"
- Costantinopoli, Stauroteca lignea con figure dipinte
- Manifattura bizantina, Reliquiario del capo di Santa Prassede
La cappellina di San Pietro Martire, all’angolo sud-occidentale della Torre costruita nei Palazzi Vaticani tra il 1566 e il 1570, è la centrale delle tre erette, l’una sopra l’altra, per volontà di San Pio V: gli stucchi e gli affreschi che la decorano, ispirati alle Storie del Santo omonimo, sono opera di Giorgio Vasari e dell’allievo Jacopo Zucchi (1570).
Vi si conservano, entro una vetrina alla sinistra dell’altare, i preziosi cimeli del Sancta Sanctorum, l’antica cappella del Palazzo dei Papi al Laterano, rinvenuti nel 1905 all’interno di una cassetta lignea risalente al pontificato di Leone III (795-816), deposta sotto l’altare della cappella sotto Niccolò III (1277-80) e lì rimasta sigillata dagli inizi del Cinquecento.
Nel 1936 gli oggetti, dopo essere stati restaurati, studiati e catalogati, ricevettero sotto Pio XI l’attuale sistemazione.
Musei Vaticani | Sala dell'Immaccolata
- Francesco Podesti, Proclamazione del Dogma
- Mobile della Sala dell’Immacolata
A seguito della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione da parte di Pio IX, avvenuta l’8 dicembre 1854, il pontefice decide di celebrare l’evento con un ciclo di affreschi.
Viene scelta la grande sala adiacente alle Stanze di Raffaello e l’incarico è assegnato a Francesco Podesti (1800-1895), pittore anconetano radicato nel panorama artistico e accademico romano.
L’artista, insieme alla sua squadra di maestranze, lavora all’impresa dal 1856 al 1865, progettandola e seguendone la realizzazione in tutte le sue parti: le porte e i portelloni lignei delle finestre e le mostre di marmo intarsiato, nonché la messa in opera del mosaico romano proveniente da Ostia antica, comprato appositamente per questo ambiente.
La realizzazione della decorazione pittorica prende avvio dalla volta, con scene allegoriche che alludono alle virtù della Vergine; continua sulla parete nord, con l’omaggio dei continenti alla Chiesa in trono; segue sulla parete ovest, occupata dalla Discussione del dogma, dove Podesti dà prova della sua abilità di ritrattista nei personaggi riuniti a discutere il tema sacro; culmina nella parete sud, che ospita la scena principale, ossia la Proclamazione del dogma, ambientata nella Basilica di San Pietro; e si conclude nella parete est, con l’Incoronazione dell’Immagine di Maria, evento seguito alla Proclamazione e svoltosi in San Pietro.
Podesti, che era presente, inserisce qui il proprio autoritratto.
Musei Vaticani | Sala delle Nozze Aldobrandine
- Nozze Aldobrandine
- Ciclo con scene dell'Odissea da via Graziosa
- Frammento di affresco con volto virile
- Affresco raffigurante l’imbarcazione Isis Geminiana
La Sala delle Nozze Aldobrandine, già detta del Sansone dagli affreschi di Guido Reni sulla volta con le Storie di Sansone (Sansone che solleva la porta di Gaza, Sansone che uccide i Filistei, Sansone che lotta con il leone), deve il nome al famoso affresco romano, che vi è esposto.
Fu costruita sotto Paolo V da Flaminio Ponzio tra il 1605 e il 1608.
La pavimentazione, della metà del XIX secolo, è composta da frammenti musivi di età romana: il pastiche mediano, geometrico, a emblema centrale con Achille sul carro, che trascina il corpo di Ettore, viene da Vigna Brancadoro (Roma, via Tiburtina).
Per breve tempo l’ambiente accolse la collezione delle Stampe (dopo la demolizione dell’apposito Gabinetto per la costruzione del Braccio Nuovo nel 1822), ma dal 1838 fu destinato all’allestimento delle testimonianze pittoriche di età romana: le Nozze Aldobrandine, il gruppo delle Eroine di Tor Marancia e la figura femminile dalla tenuta di San Basilio sulla Via Nomentana, cui si aggiunsero, nel 1853, il ciclo dell’Odissea da via Graziosa e, a partire dal 1868, gli affreschi da Ostia.
Più recentemente vi sono stati sistemati, oltre all’iscrizione dell’insula Sertoriana, i mosaici della collezione Furietti (Tre ghirlande e Belve in un paesaggio esotico), già nel Museo Profano di Clemente XIII.
Musei Vaticani | Sala dei Chiaroscuri
L’ampio ambiente un tempo ospitava i cubicolarii, ossia gli addetti alla sorveglianza del cubiculum cioè la camera da letto del pontefice, e i palafrenieri, cui spettava il compito di trasportare a spalla la sedia gestatoria del papa.
La stanza, inoltre, nel Cinquecento era usata per i concistori segreti ossia le solenni adunanze del pontefice con i cardinali. Anticamente essa era anche detta del “Pappagallo” probabilmente per l’antica usanza di ospitare al suo interno il simpatico volatile.
L’attuale aspetto dell’ambiente risale al secolo XVI.
Il soffitto ligneo a cassettoni dorati realizzato nel Cinquecento su disegno di Raffaello mostra all’interno dei lacunari le imprese e le armi del committente papa Leone X Medici (1513-1521).
Le pareti sono decorate da un’architettura dipinta con finte colonne che sorreggono un architrave sopra il quale corre un fregio decorato da girali vegetali e coppie di putti.
Tra le colonne, una serie di edicole dipinte ospita la serie degli Apostoli e Santi.
Sui piedistalli sottostanti, finti rilievi marmorei ricordano il martirio dei personaggi sopra rappresentati, mentre in alto compaiono le personificazioni delle Virtù.
La serie degli Apostoli e Santi fu realizzata nel 1517-1518 da Raffaello per papa Leone X.
Molto danneggiata alla metà del Cinquecento (1560), fu completamente ridipinta dai fratelli pittori Federico e Taddeo Zuccari.
Numerose tracce della decorazione originaria rimangono in corrispondenza delle figure di S.Giovanni Evangelista, S. Lorenzo e S. Matteo, contrassegnate da graffiti con gli anni 1518,1519,1540,1541.
Musei Vaticani | Stanze di Raffaello
- Sala di Costantino
- Stanza di Eliodoro
- Stanza della Segnatura
- Stanza dell'Incendio di Borgo
Le quattro stanze dette di Raffaello costituivano parte dell'appartamento situato al secondo piano del Palazzo Pontificio scelto da Giulio II della Rovere (pontefice dal 1503 al 1513) come propria residenza e utilizzato anche dai suoi successori.
La decorazione pittorica fu realizzata da Raffaello e dai suoi allievi tra il 1508 e il 1524.
Musei Vaticani | Loggie di Raffaello
La Loggia di Raffaello è un ambiente del secondo piano del Palazzo Apostolico, nella Città del Vaticano, confinante con le Stanze e facente parte del complesso delle Logge.
È celebre per un ciclo di affreschi della scuola di Raffaello riproducenti decorazioni con storie bibliche e grottesche, databile tra la fine del 1517 o il 1518 e il 1519.
Una seconda loggia già affrescata da Raffaello e aiuti è la cosiddetta Prima Loggia, al piano nobile (completamente ridipinta da Alessandro Mantovani nella seconda metà dell'Ottocento); una terza è la Loggetta del cardinal Bibbiena, al terzo piano. Le tre logge, affacciate sul Cortile di San Damaso, formano il complesso delle Logge di Raffaello o Logge Vaticane.
La facciata del palazzo di Niccolò III sul Cortile di san Damaso venne sistemata da Bramante sotto Giulio II e continuata, dal punto di vista della sovrintendenza ai lavori architettonici, da Raffaello stesso al tempo di Leone X.
Il papa mediceo poi, confermando il favore verso Raffaello e i suoi allievi, affidò loro anche la decorazione a stucco e affresco che doveva ispirarsi alla Domus Aurea, di cui era stato già dato uno straordinario saggio di rievocazione archeologica nella Stufetta del cardinal Bibbiena (1516), al terzo piano del Palazzo.
Raffaello dovette limitarsi a ideare la decorazione in generale, sovrintendere ai lavori e fornire, non sempre, i disegni per le "storiette".
Vasari elencò tra i partecipanti all'impresa Giovanni da Udine, capo-decoratore, Giulio Romano, Giovan Francesco Penni, Tommaso Vincidor da Bologna, Vincenzo Tamagni, Perin del Vaga, Pellegrino da Modena, Polidoro da Caravaggio "e molti altri pittori".
A Giovanni da Udine e Perin del Vaga sono concordemente riferite quasi tutte le grottesche; il primo dovette occuparsi anche degli stucchi, che secondo Vasari condusse con la tecnica del "vero stucco antico", da lui "riscoperta", che prevedeva l'uso di polvere "del più bianco marmo che si trovasse" con "calcina di travertino bianco".
Per quanto riguarda la datazione della decorazione, appare inaccettabile come data di avvio dei lavori il 1513, che si legge sotto una Vittoria in stucco a sinistra della finestra nella dodicesima arcata: si tratta piuttosto di un ricordo dell'anno di elezione di Leone X.
La decorazione dovette aver inizio tra la fine del 1517 e il 1518 ed essere conclusa a tempo di record nei primi mesi del 1519: l'11 giugno è infatti registrato un ordine di pagamento a favore di "garzoni che hanno dipinto la Loggia"; inoltre due lettere in quell'anno, una di Marcantonio Michiel a un corrispondente veneziano (4 maggio) e una di Baldassare Castiglione a Isabella Gonzaga (16 giugno), annunciano il compimento dei lavori.
La tipologia aperta della Loggia fece soffrire gli affreschi per effetto delle intemperie, finché nella seconda metà dell'Ottocento non si decise di chiuderla con vetrate.
Numerosi sono i restauri che si susseguirono nei secoli, che compromisero ulteriormente la freschezza dell'originale, visibile tra l'altro nei pilastri dell'arco di fondo, dove nel 1952 vennero riscoperte delle grottesche originali protette da una parete di chiusura fatta costruire al tempo di Paolo III, appena venti-trent'anni dopo il compimento.
Secondo Antonio Paolucci, storico dell'arte e direttore dei Musei Vaticani, «Raffaello è senza dubbio il più grande pittore del secondo millennio, e la Loggia è la sua più importante eredità».
Della loggia esiste una riproduzione fedele nel Palazzo d'Inverno del Museo dell'Ermitage a San Pietroburgo voluto dalla zarina Caterina II di Russia.
La Loggia corre lungo lungo tutto il lato est, per una lunghezza di circa 65 metri, ed è larga circa quattro.
È divisa in tredici piccole campate coperte da volta a padiglione.
Tutti i pilastri e le pareti del lato chiuso hanno una decorazione a stucco e affresco con grottesche, con figure legate soprattutto a temi mitologici; alcune riproducono invece opere d'arte famose, come il Torso del Belvedere, il San Giorgio di Donatello e il Giona del Lorenzetto nella Cappella Chigi, forse scolpito su disegno dallo stesso Raffaello; altre ancora sono legate ad avvenimenti contemporanei del papa e della sua corte: Leone X che impartisce la benedizione a un prelato sotto le Logge, l'Elefante Annone, ecc.
In basso corre uno zoccolo dipinto a monocromo, che riprende temi biblici, che secondo Vasari sono da riferire tutti a Perin del Vaga.
Sotto ciascuna volta si trovano quattro "storie" a fresco contornate da cornici a stucco di forma varia (esagonale, rettangolare o centinate), mentre agli angoli si trovano grottesche o decorazioni architettoniche; al centro delle volte si trovano stemmi: in quella centrale l'emblema di papa Leone X con le chiavi di san Pietro, in tutte le altre vittorie o genietti col gioco, dall'insegna personale di Giovanni de' Medici prima di divenire papa.
Le prime dodici volticelle hanno storie del Vecchio Testamento, l'ultima del Nuovo: la ricchezza di scene ha fatto chiamare il complesso anche la "Bibbia di Raffaello".
La prima volticella è decorata con quattro Storie della Genesi entro cornici esagonali: Creazione della luce, Separazione dalla terra dalle acque, Creazione del sole e della luna e Creazione degli animali.
Il reticolato con figure di angioletti è attribuito da Fischer alla mano di Raffaello, mentre le Storie sono generalmente riferite al Penni su disegno di Giulio Romano, anche se si sono fatti i nomi di Giovanni da Udine per gli animali (tra cui compaiono un elefante e un rinoceronte, esotici doni dei sultani mediorientali alle corti italiane) e di Polidoro da Caravaggio per i paesaggi. Gamba assegna la scena della Separazione dalla terra dalle acque a Raffaello, che avrebbe voluto fissare il "la" per tutta la decorazione.
Evidenti, in queste scene, sono i riferimenti alle Storie della Genesi di Michelangelo.
La seconda volta presenta le Storie di Adamo ed Eva di forma rettangolare: Creazione di Eva, Peccato originale, Cacciata dal Paradiso terrestre e Lavoro dei progenitori (molto danneggiata).
La tendenza prevalente è di riferirle al Penni coadiuvato da Giulio Romano.
Anche in questo caso sono evidenti i debiti michelangioleschi, mentre la scena della Cacciata appare modellata piuttosto fedelmente dalla scena analoga di Masaccio nella Cappella Brancacci.
Il monocromo sul basamento è andato perduto, ma dalle riproduzioni eseguite dal Bartoli si evince che vi erano rappresentati Caino e Abele inginocchiati davanti agli altari, l'Eterno che si rivolge ad Abele e Caino che uccide Abele.
La terza volta mostra le Storie di Noé di forma rettangolare: Costruzione dell'arca, Diluvio universale, Uscita dall'arca (molto danneggiato) e Sacrificio di Noè.
Anche queste scene sono attribuite prevalentemente al Penni, con un possibile intervento più consistente di Giulio Romano nel Diluvio.
Nello zoccolo si vede l'Arcobaleno dopo il Diluvio.
La quarta volticella contiene le Storie di Abramo e Loth, di forma centinata, variamente attribuite a Giovan Francesco Penni, Giulio Romano o Perin del Vaga.
Le storie sono: Abramo e Melchisedech, la Promessa di Dio, l'Incontro con gli angeli e la Fuga da Sodoma.
Nel basamento si trova il Sacrificio di Isacco a monocromo, che Cavalcaselle riferì a un'idea di Raffaello stesso.
Le Storie di Isacco occupano la quinta volticella, eseguite forse da Penni su disegno di Giulio Romano, ma alcuni attribuiscono a quest'ultimo l'intera prima storia, mentre altri ipotizzano anche un intervento di Perin del Vaga.
Le storie, di forma rettangolare, sono: Dio che appare a Isacco, Isacco e Rebecca spiati da Abimelech, Benedizione di Giacobbe e Primogenitura di Esaù.
Nella scena a monocromo è riprodotto di nuovo il Sacrificio di Isacco, molto probabilmente un errore delle maestranze che replicarono lo stesso cartone.
La sesta volta è dedicata alle Storie di Giacobbe, che condividono le stesse oscillazioni attributive delle precedenti; i paesaggi sono stati riferiti a Giovanni da Udine.
Le storie, di forma rettangolare, sono il Sogno di Giacobbe, l'Incontro con Rachele, il Patto con Labano e l'Andata a Canaan.
Il monocromo sullo zoccolo mostra la Lotta di Giuseppe con l'Angelo.
Sull'ottava volta vi sono le Storie di Mosè, di forma rettangolare: Mosè salvato dalle acque, il Roveto ardente, il Passaggio dal Mar Rosso e il Prodigio dell'acqua fatta scaturire da una rupe.
Le prime due scene e la quarta sono di solito riferite a Giulio Romano, mentre la terza è di più discorde attribuzione, forse del Romano o di Perin del Vaga.
La scena a monocromo mostra la Caduta della manna.
La successiva nona volta è decorata dalle Storie di Mosè e Giosuè, di forma rettangolare, forse di Raffaellino del Colle o frutto della collaborazione Romano/Penni.
Mostrano: la Consegna delle Tavole della Legge, l'Adorazione del vitello d'oro, la Colonna di fumo e la Presentazione della Legge agli ebrei.
Nello zoccolo il monocromo forse raffigurante Giosuè che arringa gli Israeliti.
Per la decima volta vennero scelte le Storie di Giosuè, di forma centinata, con il Passaggio del Giordano, la Caduta di Gerico, Giosuè che arresta il sole e la luna e la Divisione della terra promessa.
Vasari assegnò la prima e la terza storia a Perin del Vaga, attribuzione poi estesa solitamente anche alle altre. Della terza scena esisteva nell'Ottocento il cartone, che Passavant vide in casa Gaddi a Firenze.
Non è presente un monocromo per la porta che conduce alla Sala dei Palafrenieri; nonostante ciò Bartoli, in una serie di incisioni, vi collocò due figure erette e due corridoi ai lati di una porta, forse una sua invenzione, o forse una rappresentazione del perduto monocromo della campata successiva.
Nell'undicesima volticella si trovano le Storie di Davide, con la Consacrazione, lo Scontro con Golia, il Trionfo sugli Assiri e la Toeletta di Betsabea, tutte riferite a Perin del Vaga su disegno di Giulio Romano o Giovan Francesco Penni.
Non si conosce la decorazione del perduto monocromo nello zoccolo.
La dodicesima volta è dedicata alle Storie di Salomone: Consacrazione del re, Giudizio, Incontro con la regina di Saba e la Costruzione del Tempio di Gerusalemme.
Generalmente sono riferite a Perin del Vaga.
Il monocromo del basamento mostra Betsabea dinanzi a Davide.
La tredicesima e ultima volticella contiene le Storie di Cristo, tutte riferite da Vasari a Perin del Vaga, attribuzione accettata dalla maggior parte degli studiosi successivi.
Filippino invece fece il nome di Tommaso Vincidor, in base a raffronti tra la Natività e l'arazzo della seconda serie vaticana dello stesso soggetto.
Le quattro scene neotestamentarie raffigurate sono: la Natività, l'Adorazione dei Magi, il Battesimo e l'Ultima cena, tutte a forma esagonale.
Nel monocromo, che conclude l'intero ciclo della Loggia, si trova la Resurrezione.
Musei Vaticani | Appartamento Borgia
- Sala delle Sibille
- Sala del Credo
- Sala delle Arti Liberali
- Sala dei Santi
- Sala dei Misteri
- Sala dei Pontefici
Lo spagnolo Rodrigo de Borja y Doms (italianizzato in Borgia), eletto papa alla morte di Innocenzo VIII assumendo il nome di Alessandro VI, lega il suo nome a parte della residenza utilizzata durante il suo pontificato, durato dal 1492 al 1503 e segnato da eventi altamente significativi quali la scoperta dell’America e il grande giubileo del 1500.
L’Appartamento Borgia comprende sei ambienti di rilievo monumentale fatti ristrutturare e decorare da quel pontefice, che ospitano oggi parte della Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani inaugurata da Paolo VI (1973): le Sale delle Sibille e del Credo nella Torre Borgia; quelle delle Arti Liberali, dei Santi e dei Misteri, allineate nell’ala edificata da Niccolò V (1447-1455) e definite “camere segrete” nel Diario di Johannes Burckhard, maestro delle cerimonie di papa Alessandro; infine la Sala dei Pontefici nell’ala più antica di Niccolò III (1277-1280).
La residenza papale occupava tutto il primo livello del Palazzo Apostolico, comprendendo ancora due piccoli vani accessibili dalla Sala delle Arti Liberali, probabilmente adibiti a cubiculum (stanza da letto) e stufetta (bagno), nonché le odierne Sale dei Paramenti, Galleriola, Sala della Falda e cubiculum di Niccolò V (non accessibili al pubblico).
Alla morte di Alessandro VI l’appartamento venne abbandonato da Giulio II (1503-1513), che non volendo avere costantemente sotto gli occhi la memoria dell’odiato predecessore, decise di spostarsi negli ambienti corrispondenti al piano superiore, noti oggi come Stanze di Raffaello, la cui decorazione segnò l’inarrestabile fortuna del Sanzio.
Se i papi continuarono a cambiare residenza, l’Appartamento Borgia ospitò quella di alcuni “cardinali nipoti”, tra cui il più celebre San Carlo Borromeo (nipote di Pio IV), poi la Pinacoteca di Pio VII (1816), quindi la biblioteca del cardinale Mai, e solo alla fine dell’Ottocento Leone XIII volle aprirlo al pubblico dopo un radicale restauro.
La decorazione pittorica delle “camere segrete”, vale a dire riservate a uso privato del pontefice, venne affidata al pittore umbro Bernardino di Betto, meglio noto con l’appellativo di Pinturicchio o Pintoricchio (“piccolo pintor” allusivo alla statura fisica minuta), con cui si firma sovente e ricorrente nei documenti.
Dopo gli esordi in Vaticano ancora nell’ambito della bottega del Perugino all’opera nella Cappella Sistina (1481-1483), ben presto l’artista riuscì a distinguersi per la propria originalità affermandosi in piena autonomia e riscuotendo larghi consensi per la durata di ben cinque pontificati: Sisto IV, Innocenzo VIII (committente della decorazione del Palazzetto del Belvedere, di cui restano alcune Vedute di Città e lunette con amorini nella Galleria delle Statue del Museo Pio Clementino), Alessandro VI, Pio III, Giulio II.
Formatosi come abile miniatore, il Pinturicchio maturò in seguito pregevoli qualità artistiche sia nella pittura su tavola che a fresco, tali da farlo autorevolmente riconoscere come uno dei massimi esponenti della scuola umbra sullo scorcio del Quattrocento.
“Nel palazzo del papa […] egli fece dipignere Alessandro VI tutte le stanze, dove abitava e tutta la torre Borgia […] e lavorò tutte le volte di stucchi e d’oro.”: in mancanza di un contratto o di citazioni nei libri dei conti di Alessandro VI, l’affermazione del Vasari può comprovarsi in una lettera datata 29 marzo 1493, nella quale il pontefice informa gli abitanti di Orvieto dell’interruzione dei lavori di decorazione del Duomo affidati a Pinturicchio, giustificata dal sopraggiunto impegno nell’appartamento papale in Vaticano.
Il fastoso complesso decorativo dell’Appartamento Borgia, ispirato forse dal teologo e maestro di palazzo Annio da Viterbo, costituisce l’apice della brillante carriera del pittore umbro impostosi come protagonista assoluto del pontificato di Alessandro VI, che dopo la calata di Carlo VIII gli affidò ancora un vasto ciclo di affreschi in Castel Sant’Angelo (1497) purtroppo andato perduto.
La grandiosa impresa fu rapidamente condotta a compimento tra l’autunno del 1492 e gli inizi del 1494, confermando quella celerità celebrata come qualità distintiva del pittore, alla quale concorsero da un lato la presenza di una équipe di artisti ben diretti, tra cui Piermatteo d’Amelia, Benedetto Bonfigli, Pietro d’Andrea, Antonio da Viterbo detto il Pastura, ai quali la critica più recente aggiunge Bartolomeo di Giovanni e Raffaellino del Garbo, dall’altro l’adozione di fattori tecnici specifici.
Il pittore ricorse infatti solo parzialmente all’affresco, alternandolo a una particolare tecnica di pittura mista rivelata dai recenti restauri, più rapida e simile a quella a secco su tavola, consentendo quindi l’utilizzo di una più ampia gamma di pigmenti e lacche in grado di conferire alle pitture quello splendore cromatico che poi si esalta massimamente nell’intensa profusione di stucchi e di pastiglie in cera dorati.
Musei Vaticani | Lapidario Profano (ex Lapidario Lateranense)
- Settore A. Iscrizioni dalla città di Falerii Novi
- Settore B. Iscrizioni municipali trovate o conservate a Roma
- Settore C. Iscrizioni dalla città di Veio
Inaugurato nel 1981, il Lapidario è il frutto di un lavoro di riordinamento successivo al trasferimento in Vaticano della raccolta ubicata, fino al 1963, nel Palazzo del Laterano; qui papa Gregorio XVI (1831-1846) aveva istituito un Museo di Antichità e le iscrizioni erano state ripartite in tre lapidari: Profano, Giudaico, Cristiano.
Le iscrizioni sono suddivise in due gruppi principali, in base al luogo di provenienza: “Iscrizioni extraurbane o municipali” (ulteriormente suddiviso per città: Ostia, Falerii Novi, Veio, Ferentino, Preneste, Tivoli, Tusculum, ecc., antichi centri ubicati nell’attuale Lazio) e “Iscrizioni di Roma”.
Questo secondo nucleo, più numeroso, è a sua volta distribuito per contenuto testuale (divinità, imperatori, senatori e cavalieri, personale subalterno dei magistrati, sacerdoti, calendari, militari, professioni e mestieri, ecc.), per contesti archeologici (ad esempio per tombe, come quella degli schiavi e liberti della famiglia senatoria dei Volusii Saturnini), quindi per aree extraurbane (vigne Cremaschi, Ammendola, ecc.); seguono le rimanenti iscrizioni sepolcrali di varia provenienza; si aggiungono inoltre tabulae lusoriae (tavole da gioco marmoree), piccoli cippi, cinerari, altari, iscrizioni greche, lastre iscritte su ambedue le facce, frammenti inediti.
Le iscrizioni di cava e i pesi, già nel Lapidario, sono attualmente collocati (con le condutture di piombo) presso il Mosaico Maggiore.
La collezione originaria, che comprendeva circa 3430 iscrizioni, di cui solo circa 860 interamente trascrivibili e più di 2000 frammentarie, ha conosciuto incrementi successivi.
Si segnala l’allestimento di 78 cippi e are (prima custoditi nei magazzini) nella cosiddetta “area esterna”, situata all’aperto vicino al Mosaico Minore.
Attualmente è esposta al pubblico solo parte del gruppo delle “Iscrizioni municipali”: quella relativa a Falerii Novi, a centri non identificabili, a Veio (parzialmente).
Musei Vaticani | Arte medievale
- Evangeliario di Lorsch
- Giotto, Polittico Stefaneschi
- Gentile da Fabriano
- Annunciazione
- Scomparti della predella del Polittico Quaratesi
Musei Vaticani | Arte rinascimentale, barocca e rococò
- Caravaggio, Deposizione
- Giotto, Polittico Stefaneschi
- Beato Angelico
- Predella della Pala di Perugia
- Stimmate di san Francesco
- Filippo Lippi, Incoronazione Marsuppini
- Ercole de' Roberti, Storie di san Vincenzo Ferrer
- Melozzo da Forlì
- Sisto IV nomina il Platina prefetto della biblioteca Vaticana
- Angeli musicanti
- Perugino
- Resurrezione di San Francesco al Prato
- Pala dei Decemviri
- Giovanni Bellini, Pietà di Pesaro
- Leonardo da Vinci, San Girolamo
- Michelangelo, Crocifissione di san Pietro
- Raffaello
- Trasfigurazione
- Madonna di Foligno
- Pala degli Oddi
- Fede, Speranza e Carità
- Da Raffaello, Arazzi della Cappella Sistina
- Correggio, parti del Trittico dell'Umanità
- Nicolas Poussin, Martirio di sant'Erasmo
Musei Vaticani | Arte moderna e contemporanea
- Henri Matisse,
- Salvador Dalí,
- Antonio Canova, Perseo trionfante
- Felice Mina, medaglia Papa Giovanni XXIII
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